La Colonia Montana “Elvira Crisafulli” per l’assistenza dei bambini debilitati

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La Colonia Montana “Elvira Crisafulli” per l’assistenza dei bambini debilitati.

Dalla prima sede della Foresta del Camaro del 1922 a quella definitiva di Castanea del 1926

di Enzo Caruso

 

In un lontano giorno del 1910, un illustre medico italiano, il prof. Umberto Gabbi, sceglieva la Foresta di Camaro come sede di un sanatorio antimalarico. L’opera di assistenza da lui iniziata durò fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il Sanatorio aveva avuto il soccorso benefico della Regina Margherita di Savoia e il sostegno di benemeriti cittadini e di Enti che concorrevano insieme a garantire l’assistenza per coloro la cui vita era messa ogni giorno a repentaglio dalla malaria. L’incuria e l’abbandono durante il periodo bellico fecero però scempio di quello che era stato un piccolo, ma fiorente Istituto. Al termine delle Guerra, un altro illuminato medico, il dottor Giuseppe Spagnolìo, che aveva lavorato nel Comitato Antimalarico insieme al Maestro Umberto Gabbi, ebbe il merito di far risorgere a Messina l’Opera di Beneficienza offrendo al Patronato Scolastico, nel 1920, tutto il materiale necessario per l’istituzione di una Colonia Montana. Malgrado gli innumerevoli ostacoli, nell’estate di quell’anno il Sanatorio, raccolti venti fanciulli delle Scuole comunali, gettò le basi per la costituzione della vera e propria Colonia.

Nell’anno seguente, la cessione da parte del Comitato Antimalarico dei Padiglioni Dockers, esistenti nella Foresta di Camaro, e di tutto il materiale in essi custodito, indusse, in un gruppo di Maestri delle Scuole di Messina, un grande entusiasmo per l’organizzazione delle attività della Colonia; ma il sopralluogo effettuato col dott. Spagnolìo spegnava i facili entusiasmi: un padiglione, infatti, era stato distrutto da un incendio e gli altri risultavano gravemente danneggiati da atti vandalici. Era quindi necessario scegliere un altro sito più idoneo all’Istituzione della Colonia. La scelta ricadde su una località esistente nella parte bassa della Foresta in prossimità della casa degli agenti forestali del Comune, non molto distante dal Villaggio di Camaro; era fornita di acqua potabile e vi si poteva accedere sia dal Torrente che dalla via provinciale e militare.

Non potendo più utilizzare i padiglioni Dockers, rimasti nella parte alta della Foresta al limite della strada militare per Dinnammare, si pensò, in sostituzione delle baracche, all’utilizzo delle tende, piccole e smontabili, fornite in numero sufficiente dall’Ufficio Sanitario del Comune, più convenienti alla salute e all’igiene dei fanciulli. Fu stabilito che la casa delle Guardie Forestali fosse destinata a Direzione e a Refettorio, mentre sotto le tende si sarebbero posti i letti per i bambini, per gli insegnanti e per il personale di servizio, messi a disposizione dal Ministero dell’Interno, che aveva aderito alla richiesta del Comitato Direttivo, insieme alla biancheria e due grandi tende da campo di quelle in uso alla Croce Rossa, che però non trovarono impiego a causa della mancanza di ampi spazi in pineta.

Il primo attendamento risultò composto di 10 tende, in ciascuna delle quali furono disposte due brande. Per la sorveglianza dei bambini e per la necessaria disciplina fu disposto che all’estremità dell’attendamento prendesse posto l’istitutore da un lato e il personale di servizio dall’altro. Ogni branda fu fornita di un materasso con cuscino, quattro lenzuola e una coperta di lana. All’esterno della tenda era posto un cartello con l’elenco dei bambini ricoverati. Nel primo anno di attività il Prof. Spagnolìo eseguì nei locali della Direzione dell’Orfanotrofio Lombardo la scelta dei bambini bisognevoli di cura. Erano alunni delle scuole elementari comunali di Messina, appartenenti a famiglie povere e bisognose di aiuto. La scelta fu fatta tra i bambini non affetti da malattie contagiose; si trattava quasi sempre di convalescenti di malattie pregresse e di bambini gracili che presentavano una debole costituzione e i caratteri tipici del linfatismo, rachitismo, comunque predisposti alla tubercolosi, per i quali si rendeva indispensabile la cura montana.

Nel primo anno di attività furono scelti 22 bambini, con età compresa tra i 6 e i 12 anni, scarsamente nutriti e pallidi, molti dei quali rivelavano qualche ereditarietà di malattie vascolari, nervose e dell’apparato respiratorio. Negli anni seguenti la scelta dei bambini ebbe luogo in maniera più organica e razionale. Il Consorzio antitubercolare, d’accordo con la Direzione dell’Opera per la Maternità e per l’Infanzia, dispose che un sanitario comunale, d’intesa col medico Provinciale, procedesse ad una visita generale degli alunni delle scuole comunali segnalando al Consorzio gli alunni bisognosi di cura, distinguendoli in due categorie: quelli per i quali era necessaria una cura montana e quelli per cui era più utile la cura marina presso la Colonia ubicata nel Lido di Mortelle. La prospera e significativa opera della Colonia, portò negli anni successivi ad un notevole incremento di bambini che la frequentarono; si passò dai 25 del 1922 a oltre 100 del 1927, distinti in due turni di trenta giorni ciascuno.

La nuova sede

La vita in Colonia nella Foresta di Camaro, pur se giovevole al fisico per la salubrità del clima, non era però lieta per i bambini ricoverati, lontani dalle loro famiglie e dai centri abitati a causa dei carenti mezzi di comunicazione. 

Il non facile accesso alla Foresta di Camaro aveva reso la Colonia un luogo isolato che non incoraggiava le visite dei familiari; la vita monotona creava inoltre, nella comunità, un senso di abbandono e di nostalgia che, non solo nuoceva al fisico dei fanciulli, ma induceva questi a voler ritornare alle loro case in città. Fu per tali motivi che, nel 1926, il Comitato di Amministrazione del Patronato deliberò il trasferimento della Colonia dalla Foresta di Camaro Castanea, nella pineta Quisisana, in contrada Calamarà, in una proprietà privata ubicata sul bivio della strada Castanea–Campo Inglese, messa a disposizione dal proprietario, il Cavalier Cappello, grazie all’intercessione del delegato municipale di Castanea, il Cav. Riccardo Costarelli, insieme ad una casa colonica diruta e una vasta zona di terreno idoneo all’attendamento,

Il Prefetto Porro, presidente del Consorzio antitubercolare provinciale, non solo autorizzò il contratto per l’acquisizione del terreno, ma offrì il suo contributo straordinario per la ricostruzione della casa. Sulla zona di terreno così ceduta, il Comitato costruì in quell’anno una comoda ed ampia sede per la Colonia, oltre che la cucina e il refettorio. Nel 1927 la dotazione risultò notevolmente incrementata, anche grazie all’intervento di benefattori come il Comm. Dott. Giuseppe Bosurgi che, dopo una visita alla Colonia, donò con alto spirito di filantropia, dieci letti. Il Comitato si augurava così di poter ospitare, nel giro di poco tempo, almeno 100 Balilla e 100 Piccole Italiane. Concorrevano al bilancio della Colonia, oltre al Patronato, anche il Ministero dell’Interno, il Ministero della Pubblica Istruzione, l’Associazione Nazionale per gli Interesse del Mezzogiorno ed Enti provati cittadini, col tempo sostituiti dal Consorzio Antitubercolare, l’Opera per la Maternità e per l’Infanzia e l’Opera Nazionale Balilla. La Colonia, intitolata ad Elvira Crisafulli[1], era ubicata sulla via militare, ai limiti dei giardini coltivati e delle case coloniche, alle porte di Castanea. Le escursioni si poterono quindi svolgere lungo le vie frequentate e in zone abitate; la domenica i bambini venivano condotti in chiesa ad ascoltare la Messa e in serata potevano tornare in paese per qualche momento di allegria tra la gente del luogo.

La vita in Colonia

La giornata era regolata da apposito orario; tanto il programma delle attività che l’orario erano concordati dal Comitato con il Direttore sanitario e con le autorità scolastiche. La somministrazione del vitto veniva eseguita in conformità di apposite tabelle dietetiche preparate dal Direttore sanitario della struttura ed approvate dal medico Provinciale. Le attività si svolgevano secondo un programma avente per base l’educazione morale, l’istruzione civile e religiosa e l’educazione fisica. Il metodo di vita ricreativa teneva conto della distribuzione, durante le ore del giorno, di attività che consentissero al debole organismo dei bambini di acquisire tutti i maggiori vantaggi possibili sia in rapporto allo sviluppo fisico che a quello intellettuale. Nel primo anno di attività, durante i 49 giorni di apertura della Colonia, non si rese mai necessario l’intervento medico per malori di grave natura.

Come passavano i bimbi le ore del giorno?

Ecco di seguito la descrizione tratta dall’opuscolo “La Colonia Montana Elvira Crisafulli” curato da Ernesto Pustorino e stampato a Messina nel 1927:

- Alle 6 è la sveglia; i bambini si lavano, fanno colazione con ottimo latte, abbondantissimo e pane; quindi partono per un’escursione.

Sul luogo gli insegnanti spiegano loro tutto ciò che può essere di loro interesse: la natura, le cose, i luoghi. 

Alle 11 ritornano in sede; pochi esercizi, il bagno, e quindi a pranzo nell’ampio refettorio con minestra, carne o pesce con contorno, frutta, formaggio e qualche volte il dolce.

Dopo un breve riposo che dura fino alle 15,30, adunata. In marcia sulla via militare, esercizi ginnici, canto, reazioni.

Alle 18 cena. Prima dei pasti si recitano le preghiere; e poi un po’ di svago in libertà.

- Alle 20 suona il silenzio, ognuno è al suo posto sotto la tenda, pronto per coricarsi e sognare una bella giornata per l’indomani.

 

Ecco in sintesi il programma giornaliero:

ore            6                    sveglia e pulizia

“               7                     zuppa

“               8½ - 9½          escursione

“               9½ - 11 ½       educazione morale e istruzione civile

“               11 ½               pranzo

“               12½ - 14 ½     riposo

“               14½ - 15 ½     pulizia personale

“               15½ - 17 ½     passeggiata

“               18                   cena

“               20                   riposo

 

 

Risultati conseguiti durante il soggiorno in Colonia

In tutte le visite eseguite dallo staff medico si potè constatare ogni anno il rapido miglioramento dei bambini ricoverati, il modificarsi del colorito cutaneo, la scomparsa del pallore, l’aumento della nutrizione, il ravvivarsi delle mucose e l’energia dei movimenti, un aumento della circonferenza toracica da 2 a 4 cm. E un evidente aumento di peso corporeo da 2 a 5 kg.; in sintesi una vivace spigliatezza che solo l’ari della Foresta può risvegliare e infondere. Alla chiusura del soggiorno, della durata minima di trenta giorni, i bambini venivano ricondotti alla Sede del Patronato, per mezzo degli autotrasporti, attraverso la strada che si snoda da Colle Sarrizzo sino a Casazza, giù per S. Michele e Ritiro.

Il Prefetto della Provincia, dopo aver visitato la Colonia, insieme all’Ispettore Centrale della Sanità Civile e al Medico Provinciale, ebbe a scrivere: “E’ una Istituzione che merita il maggiore incoraggiamento perché promette di divenire una Colonia modello. Occorrono maggiori mezzi che il benemerito Comitato saprà trovare se alla popolazione si faranno noti i benefici fisici e morali che i bambini traggono da quella cura, e se le Autorità tutte daranno il loro appoggio”.

 


[1] Elvira Crisafulli, nobildonna messinese perita nel terremoto del 28 dicembre 1908, madre di Michele Crisafulli Mondìo, sindaco di Santa Teresa di Riva e podestà di Messina durante il Fascismo