Capita spesso di transitare per via XXIV Maggio e accanto al monastero di Santa Eustochia Smeralda Calafato leggere, su una targa di marmo, “Scalinata Rosa Donato”. E allora sorge spontanea la domanda: chi era costei e cosa fece di tanto importante per meritarsi questa intestazione?
Rosa era figlia di un umile “cuciniere” e nacque a Messina nel 1808. Sposò un altrettanto umile stalliere, un certo Donato, di cui rimase ben presto vedova e allora, per tirare avanti, si adattò a svolgere lavori ancora più umili, “povera donna del volgo…” che faceva anche la “tosatrice di cani” con un “…cuore per audacia e abnegazione sublime”, scriveva di lei il contemporaneo Giuseppe La Farina.
Non aveva alcuna cultura, tantomeno politica, eppure scrive di lei Francesco Guardione (Messina 1847-1940) che era dotata di “un sacro affetto verso la patria della quale sperava nella sua redenzione”.
L’occasione le venne offerta nel 1848-49 quando, scrive Michela D’Angelo: “…partecipò attivamente alla rivoluzione siciliana contro il governo borbonico, prima a Messina e poi a Palermo, dopo la riconquista borbonica della città dello Stretto. A Messina - continua Michela D’Angelo - in particolare, dal gennaio al settembre del 1848 fu protagonista di numerosi scontri armati con le truppe borboniche conquistandosi il titolo di “artigliera del popolo”: nelle cronache e nell’iconografia dell’epoca è raffigurata nell’atto di caricare un cannone in piazza Duomo per sparare contro le truppe regie.”.
Rosa era riuscita, infatti, a impadronirsi di un piccolo cannone dei borbonici e con esso si aggirava per la città, insieme ad Antonio Lanzetta, puntava e sparava!
La “cannoniera del popolo”, come già era stata soprannominata, l’1 febbraio del 1848 partecipava da protagonista negli scontri nel quartiere San Francesco e a quelli successivi, tanto da meritarsi la promozione sul campo a caporale. Precisa il Guardione che “…tirò a mitraglia nelle strade contro il comune nemico, vegliò nelle lunghe e fredde notti d’inverno sul suo pezzo” compiendo “prodigi di valore”.
“All’inizio di settembre - scrive ancora Michela D’Angelo - quando Messina veniva messa a ferro e a fuoco dai soldati borbonici sbarcati nella zona sud…Rosa Donato partecipava all’estrema difesa della città e, dando fuoco a un cassone di munizioni, faceva saltare in aria i soldati che stavano per conquistare il quartiere dei Pizzillari. Fingendosi morta nell’esplosione, riusciva a salvarsi e, durante la notte, insieme con Lanzetta e altri rivoluzionari messinesi poteva lasciare la città per continuare a combattere a Palermo, dove la rivoluzione era ancora in atto. Qui le veniva dato il comando di due pezzi di artiglieria e per il suo comportamento era elogiata con un pubblico encomio dal governo rivoluzionario sul “Giornale Officiale” del 20 novembre 1848”.
A maggio del 1849 Palermo viene riconquistata dai borbonici e Rosa torna a Messina dove è arrestata, torturata e incarcerata nelle segrete della Cittadella per 15 mesi.
Uscita di prigione, vive di elemosina davanti all’Università e come ricordava un altro patriota messinese, Raffaele Villari (1831-1908), gli universitari “…raccoglievano religiosamente fra loro un gruzzolo di monete e lo porgevano a Rosa che baciava quelle monete e la mano che gliele porgeva; ma qualche volta il porgitore disse a Rosa: è la tua mano che dovrebbe essere baciata e non la mia, che ancora non à brandita un’arma in difesa della patria.”.
Scrisse ancora di lei Giuseppe La Farina: “Sotto luridi cenci aveva cuore per audacia ed abnegazione sublime: schivò sempre nonché i compensi, le lodi; non mostravasi nei trionfi e nei perigli era prima.”
Morì poverissima l’8 novembre 1867, a 59 anni, dopo aver stentatamente vissuto con un magro sussidio concessole dal Comune di Messina.
Di lei rimane uno splendido mezzobusto scolpito da Vincenzo Gugliandolo nel 1893 dov’è raffigurata accanto al fusto del suo inseparabile cannone, oggi custodito nella sede centrale del Banco di Sicilia-UniCredit in via Garibaldi.
Donne e uomini messinesi, siate orgogliose/i di Lei!
Nino Principato