“La Lupa": Ecco perchè si chiama cosi la nebbia dello Stretto

Contattaci
Chi siamo
Richiedila Ora

“LA LUPA”: LA NEBBIA DELLO STRETTO. PERCHÉ SI CHIAMA COSÌ

di Enzo Caruso

In particolari condizioni atmosferiche, nello Stretto di Messina appare una nebbia che si distribuisce tra le due coste provocando drastiche riduzioni della visibilità, molto pericolose soprattutto per la navigazione marittima.

Intesa tradizionalmente dai pescatori come “La Lupa”, la nebbia è determinata dallo scorrimento di masse d’aria calda sulla superficie marina molto più fredda, la quale genera vapore acqueo che si satura e si condensa in strati di nubi bianche, alte tra 100 e 200 metri, che dal mare si spingono fino alla fascia costiera.

Nella maggior parte dei casi la nebbia insorge nelle ore notturne e al primo mattino, per poi cominciare a dissiparsi a partire dalla tarda mattinata, non appena il sole, con il riscaldamento dell’aria, rompe lo strato d’inversione termica che l’ha alimentata.

Sono stati diversi gli autori e gli studiosi che hanno cercato di dare una spiegazione alla scelta del termine “lupa” per indicare il fenomeno; tutte definizioni alquanto pittoresche e poco convincenti, più legate alla paura che la nebbia induce nei naviganti quando si trovano ad orientarsi con visibilità ridotta al minimo.

Fra le tesi più attendibili c’è quella che vuole che il nome “lupa” derivi dal suono, simile a un ululato, emesso dalle imbarcazioni per segnalare la propria posizione in mare in caso di nebbia, mediante l’utilizzo di quella conchiglia marina chiamata localmente “brogna”; un suono di segnalazione ripreso dalle navi in epoca moderna.

Lo studio della Dott.ssa Grazia Musolino, storica dell’Arte, già Dirigente della Soprintendenza ai BB. CC. AA. e successivamente del Museo Regionale di Messina, ha dato un prezioso contributo all’interpretazione del mistero, partendo da una attenta disamina di un’opera esposta presso il Museo Regionale, riportata in “Archivio Storico Messinese”, n. 2, del 2016, pp. 235-236 (“Un’aggiunta al catalogo messinese di Nunzio Rossi”) e risalendo indietro nel tempo, fino a collegarlo al mito greco di Scilla e Cariddi

Il quadro preso in esame è la Madonna della Lettera tra i Santi Pietro e Paolo, dipinto da Nunzio Rossi (N. Napoli 1626 ca/Sicilia? – M. dopo il 1650) originariamente esposto nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo o dei Crociferi.

“In esso, la suggestiva falce è ripresa da un punto di vista rialzato; manca ovviamente la cittadella edificata nel 1647, mentre è ben evidente il forte del SS. Salvatore e la Lanterna, ma non si individua bene l’arsenale (1565); a destra si vede la torre mozza e il lembo estremo delle mura di fortificazione della città. Lo stretto con la costa calabra è ben evidente.

Attenzionando meglio la costa calabra è possibile notare una estesa macchia di colore bianco che per la sua forma assume la forse non casuale sagoma di una testa canina, con il collo allungato, che si dirige verso Scilla.

Ritendo che la chiave di lettura per l’interpretazione di questa porzione pittorica o se vogliamo di questo soggetto, la possa suggerire la leggenda che ruota intorno al mito di Scilla. 

Si narra che Scilla era una bellissima ninfa che viveva in Calabria ed era solita recarsi sulla spiaggia di Zancle per fare il bagno nelle sue acque. Una sera, vicino alla spiaggia, vide apparire dalle onde Glauco, un dio marino metà uomo e metà pesce che si innamorò di lei. Ma Scilla, alla sua vista, fuggì terrorizzata lasciandolo solo nel suo dolore.

Glauco si recò allora dalla maga Circe per chiederle un filtro d'amore per far innamorare la ninfa, ma Circe, desiderando il dio per sé, preparò una pozione malefica che versò in mare.

Quando Scilla s'immerse in acqua, vide crescere molte altre gambe di forma serpentina accanto alle sue. Spaventata fuggì dall'acqua, ma, specchiandosi in essa, si accorse che si era completamente trasformata in un gigantesco mostro con sei enormi teste di cane lungo il girovita.

Per l'orrore, Scilla si gettò in mare e andò a vivere nella cavità di uno scoglio emettendo ululati nella notte”.

    

La mitologia e le leggende hanno sempre tratto ispirazione dai fenomeni naturali osservati; il particolare effetto acustico, simile ad un ululato, generato dalla peculiare conformazione delle rocce e degli scogli attraversati dal vento, così come i vortici marini che si creano in prossimità della costa messinese, hanno portato alla creazione della storia dei mostruosi guardiani dello Stretto: Scilla e Cariddi.

“In particolare, nelle varie epoche - continua Grazia Musolino -  la morfologia della ninfa Scilla si consolida sull’aspetto canino del mostro, come in parte descritto nell’autore da Omero nell’Odissea, XII, 112: La costei voce altro non par che un guaiolar perenne di lattante cagnuol, ma Scilla è atroce mostro, ha dodici piedi e sei lunghissimi colli e su ciascuno spaventosa una testa”

Così da Ovidio nei libri XIII-XIV delle Metamorfosi e da Virgilio nell’Eneide, III:

«Nel destro lato è Scilla; nel sinistro / È l’ingorda Cariddi. Una vorago / D’un gran baratro è questa, che tre volte / I vasti flutti rigirando assorbe, / E tre volte a vicenda li ributta / Con immenso bollor fino a le stelle.

Scilla dentro a le sue buie caverne / Stassene insidiando; e con le bocche / De’ suoi mostri voraci, che distese / Tien mai sempre ed aperte, i naviganti / Entro al suo speco a sè tragge e trangugia. / Dal mezzo in su la faccia, il collo e ’l petto / Ha di donna e di vergine; il restante, / D’una pistrice immane, che simíli / A’ delfini ha le code, ai lupi il ventre. / Meglio è con lungo indugio e lunga volta / Girar Pachino e la Trinacria tutta, / Che, non ch’altro, veder quell’antro orrendo, / Sentir quegli urli spaventosi e fieri / Di quei cerulei suoi rabbiosi cani(Virgilio, Eneide)

In conclusione, da un effetto acustico, generato dal vento che, in particolari condizioni atmosferiche, spira tra le rocce del versante calabrese dello Stretto di Messina, simile ad un ululato, osservato dagli antichi naviganti, è nato il mito di Scilla, enorme mostro circondato alla cinta da teste canine.

Probabilmente il manifestarsi del fenomeno è associato alla comparsa della nebbia nello Stretto, insidioso pericolo per i naviganti che, per avvertire della presenza della loro imbarcazione, utilizzano “la brogna”, particolare conchiglia capace di emettere un caratteristico suono, assimilabile ad ululato, oggi simile al segnale di allarme usato dalle moderne navi.

Dalla mitologia greca rileviamo infatti che la conchiglia veniva usata sin dall’antichità come tromba; difatti Tritone, figura mitologica, figlio di Poseidone dio del mare e della nereide Antifritite, aveva un corno di conchiglia che col suo suono calmava la tempesta e annunciava l’arrivo del mare.

Non è escluso quindi che Nunzio Rossi nel XVII secolo, nella sua opera la “Madonna della Lettera tra i Santi Pietro e Paolo”, esposta nella sale del Museo Regionale di Messina, metta proprio in evidenza il fenomeno dipingendo la testa di un lupo bianco sulla costa calabra dello Stretto: LA LUPA!

 

     


Articolo di Enzo Caruso

Foto in copertina di Marco Familiari