Arte dopo Covid19

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La gestione dell'epidemia del Covid19 ha accelerato processi già in corso nell'ambito della produzione artistica, della fruizione e del mercato, sia a livello locale sia a livello nazionale.

Racconto il mio punto di vista non avendo la pretesa di essere esaustivo per una riflessione che, come per tutti i fatti storici, ha bisogno di tempo per maturare.

Sul fronte della produzione, il feroce blocco imposto dalle istituzioni governative non ha modificato i processi creativi. Anzi, gli artisti hanno avuto più tempo per creare. Fin dall’origine del blocco, ho messo su una radio on line con l'artista Federico Bonelli della Fondazione olandese Trasformatorio. Per radioantidoto.org si trasmette da Messina, Amsterdam, Bruxelles, Lugano, Copenaghen, Taiwan etc. La radio è un esperimento aperto di produzione culturale, ha ormai oltre cinquanta redattori tra l'Europa e gli altri continenti. Nato come momento di conforto e confronto in un frangente di particolare esasperazione degli effetti dell'epidemia, oggi è un luogo di produzione e scambio di contenuti culturali di grande qualità.

Durante il blocco sono stato coinvolto nel codesign di un magazine d'arte, ho prodotto tre nuovi video per il mio progetto di videopoesia "Adesso Premium", e un format documentario sulle "Città che si vedono nei quadri". Sulla coda del blocco sono stato contattato dal collettivo Rosy Crew per la curatela di una mostra a Palermo sul tema delle "Distopie", inaugurata il 12 luglio al Santamarina Bistrot. Attualmente sto lavorando a un progetto editoriale sulle persone, medici e pazienti, che frequentano gli ospedali.

Tra gli artisti che ho seguito nella produzione di progetti posso segnalare certamente il lavoro di RE con che con "L'esperimento di libertà temporale" ha fatto molto parlare di sé, il giovane scultore Giuseppe Raffaele che durante il blocco ha lavorato a nuove opere con nuovi materiali. Altri, come Nuuco, ad esempio, hanno lavorato per pianificare e progettare nuovi percorsi creativi, altri ancora, come Antonio Fester Nuccio, hanno prodotto opere in quantità industriale, quasi come per un esorcismo produttivista. Critici come Dario La Mendola hanno usato il blocco per lanciare un'opera editoriale. Quella di La Mendola in particolare mi sembra interessante e degna di accompagnarci in una riflessione globale che vada molto oltre i discorsi di arte per arte. 

Sul fronte della fruizione culturale il distanziamento sociale ha costretto al blocco delle attività di un intero settore, peraltro già fragile e profondamente provato dal regime di austerità che dal 2007 a oggi è stato imposto a tutti i settori dell'economia con i risultati che abbiamo visto. Si sono fermate le mostre istituzionali e private, le gallerie, i concerti, teatri e i cinema. Non entro in merito alle misure di prevenzione del virus, posso commentare però le parole del Presidente del consiglio in data 13 maggio 2020: «Gli artisti ci fanno tanto divertire a appassionano».

Queste dichiarazioni suonano paradigmatiche di tutto un pensiero strategico sull’arte in Italia nell'ultimo ventennio: arte come intrattenimento, come divertimento come piacere personale. È una visione strettamente correlata a quella, poverissima, dell'economia come inizio e fine di ogni attività umana. Le nazioni egemoni in Europa, come Francia e Germania, hanno dedicato soldi e tempo alla difesa di artisti e creativi. E non lo hanno fatto perché sono più ricchi di noi. La cultura è il destino dei popoli, il nerbo su cui si alligna la politica di potenza delle nazioni egemoni, il centro su cui s’innesta il programma al futuro. Non si tratta di un accessorio di un gioiello e neanche di una cornice per discorsi politici.

La cultura è il centro della democrazia perché cittadini culturalmente stimolati costituiscono i mattoni di una comunità più solida, in grado di competere con le altre nazioni: non esiste la solidarietà tra nazioni, se non in funzione d’interessi geopolitici. L'epidemia l'ha dimostrato chiaramente. 

Alla cultura appartiene anche il settore dell'informazione. Come spiega bene la parola, l'informazione da forma alla coscienza civile dei popoli. Anche in questo campo l'economicismo ha fatto scempio dei valori positivi e fondanti della cultura per promuovere un narcisismo iperindividualista che sta mettendo a repentaglio il futuro stesso del Paese. Dall'economicismo discende pure la chiusura attuale di siti e monumenti sprovvisti degli strumenti finanziari per aggiornare i sistemi di sicurezza in funzione anticovid.

Il modello dei musei italiani è funzionale al grande mantra del turismo come centro di ogni attività di fruizione culturale. È una visione inadeguata per un paese della taglia dell'Italia. Il turismo è il motore economico di nazioni in via di sviluppo, l'idea dell'Italia come giacimento di beni culturali da sfruttare in senso economico è da rigettare totalmente.

Il Patrimonio culturale deve essere considerato come strumento produttivo per il futuro della nazione, le fondamenta, la prospettiva progressiva e non come il reliquiario da far ammirare ai viaggiatori elemosinando 10 euro per vedere capolavori assoluti. Non sto dicendo che il turismo non è importante e che non bisogna curare e implementare questo settore, solo che è fondamentale uscire dalla retorica passatista dell'Italia come museo a cielo aperto, piuttosto bisogna investire il più possibile per imitare e superare, con nuove opere, l'eredità del nostro stesso patrimonio.

Per quanto riguarda le esperienze di fruizione organizzate su internet, non ho prestato molta attenzione alle modalità virtuali promosse, se non per esigenze di catalogazione e di studio. Certo grande successo ha avuto per esempio la mostra del maestro Pasquale Marino, come sempre instancabile artefice in tutti i campi.  Ma dal mio punto di vista, la mostra virtuale deve essere considerata come l'estrema ratio per eventi non realizzabili. Sono contrario alla virtualità dell'esposizione come sistema permanente. Per me l'arte è un fatto umano, quindi relazionale e personale. Sono contrario all’abuso dei social piuttosto che della socialità. L'abuso di Internet e di questi strumenti può essere considerato uno strumento di forte limitazione biologica delle facoltà individuali. Per quanti mi riguarda le multinazionali di internet rappresentano dei problemi per la prosperità degli Stati e il raggiungimento di quegli obiettivi di eguaglianza sociale così come designato dalla Costituzione italiana. Amazon, Facebook Google e Microsoft hanno economie, grandezza e peso strategico superiore agli stati medesimi, si muovono come potenze geopolitiche e per certi versi anche ostili alle potestà dei singoli stati. Vanno fortemente ridimensionati.

L’arte in Italia dopo il blocco per Covid19 è come prima e anche un poco peggio. Gli artisti bussano alle porte delle istituzioni per l’ennesima richiesta di aiuto. In realtà gli artisti hanno già il potere e non devono chiedere niente a dei personaggi che ormai sono dei concorrenti sul fronte delle arti performative e dell’intrattenimento. Non credo che sia necessario fare degli esempi su questo argomento. Gli artisti hanno tutto il potere creativo per mettere in discussione l’attuale assetto politico sociale della Penisola, però devono uscire dal conformismo e dell’omologazione.

Sono sicuro che in altri Paesi il futuro dell’arte è assicurato da un apparato statale che è perfettamente consapevole del valore strategico della produzione culturale. Ho già fatto degli esempi ma aggiungo: gli Stati Uniti sono un paese enormemente indebitato, un paese che economicamente non dovrebbe esistere, eppure investe nella cultura, e nel cinema in particolare, una quantità enorme di denaro. Nei prossimi anni in Arabia Saudita nasceranno venti musei.  Da noi ormai si avanti coi bandi e coi progetti,  non parliamo dei progetti europei dove il finanziamento per la cultura è solo al 60% del totale.  L’Italia si sta facendo fagocitare dagli interessi geopolitici delle altre potenze anche in questo campo. Gli artisti contemporanei e i curatori d’arte italiani all’estero vengono guardati con sospetto se non proprio con una certa sufficienza, a volte del tutto ingiustificata. Sono stato a contatto con gli ambienti della c.d. “avanguardia europea”, spesso si tratta di cose vecchie su cui è spruzzata un poco di questa morale censoria e liberticida del “politicamente corretto”. In sostanza si tratta di vecchie pacchi e pacchetti su cui manca la riflessione di una serietà critica che viene respinta a priori. 

L’arte in Italia sta scomparendo perché sta scomparendo il Principe. Non mi riferisco tanto al Principe di Machiavelli,  figura che per forza di cose è legata al Rinascimento e all’Italia di quel periodo. Mi riferisco alla mancanza di figure guida dotate di qualità culturali e politiche in grado di sviluppare un discorso sul futuro che abbia nell’Italia l’unico interesse possibile da realizzare. Io sono contrario alla retorica europea e a ogni forma di cessione di sovranità, esattamente come lo sono tutti i governi dell’Unione Europea, tranne quello italiano.

Oggi vediamo tanti manager e politici inaugurare mostre e opere d’arte bruttissime, di scarsissimo valore,  tra il plauso generale dei giornalisti e il silenzio imbarazzato dei critici. L’Italia è in una crisi sistemica da oltre trenta anni, questo dato di fatto sta diventando quasi tragicomico. Abbiamo poeti da vespasiano ginnasiale osannati sui giornali come Ungaretti. Non ci siamo, dobbiamo uscire subito dal pensiero schiavile dell’arte che non serve a niente, dell'arte come spreco di denaro, dobbiamo investire il più possibile nella cultura, nella ricerca e nell’educazione, adesso.  Su questo punto bisogna fare quanto più possibile per convincere gli Italiani e i nostri rappresentanti politici: ormai è tardi, forse troppo tardi.

In Italia la grettezza ha raggiunto vertici di mostruosità così abnormi che quando si vuole fermare il ragionamento di qualcuno si dice: "non fare filosofia". Durante il blocco, ho visto Carlo Verdone in tv: si vergognava di leggere Seneca e cercava di cambiare discorso. Poi vediamo i giornali fare gli elogi della Germania, il paese filosofico per eccellenza. Ripeto, non ci siamo. C'è un modello antropologico e culturale da rifare da capo, temo che l'élite non sia in grado di concepirlo, temo che faranno nuovamente spazio a interessi stranieri pur di non cambiare. 

Gli artisti mi hanno insegnato che l'arte non è solo la bellezza, l'arte è tutto, il collegamento con il mondo, il modo in cui il mondo si rappresenta. Il Covid19 ci dà la possibilità di immaginare e di essere un futuro diverso, totalmente.


Mosè Previti ©2020