Messina prima del terremoto - La Via Garibaldi

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Come in una vecchia fotografia dall’intenso color seppia, ingiallita dalle macchie del tempo divoratore, Messina “fin de siècle” ci appare immersa nell’idilliaco clima di tranquillità di un piccolo mondo dimesso, pacato, sereno, formicolante di varia umanità e pulsante di vita. Approfittiamo di questa smagliatura, che si è aperta nella smisurata trama del tempo, per osservare come si viveva allora in questa vecchia, cara, irripetibile città…

Estate di fine Ottocento…
La via Garibaldi, originariamente Ferdinanda, realizzata per decisione del Senato dopo il terremoto del 1783 dagli architetti Basile, La Vega e Arena, è percorsa dalla banda cittadina che, esaurita la rituale sfilata, si va dirigendo alla Villa Mazzini, bell’esempio di giardino inglese iniziato nel 1832 e abbellito con gusto dal Berceau.

Dalla settecentesca chiesa delle Anime del Purgatorio alle Fornaci, la via Garibaldi si sviluppa fra due nastri di case a quattro e cinque piani, cadenzata dagli eleganti negozi con complicate efflorescenze Art Nouveau della premiata ditta di pasticceria Antonio Carbonaro, dei magazzini di alta moda di Tommaso Gullì che vanta accurate confezioni di “soprabiti per borghesi, militari, guardie e fattorini”, del ristorante rosticceria Scardino con le sue specialità di “arancini, polli, rosbiff, fritti caldi, sangue dolce, rinfreddi e salsicce”.

Un uomo, appoggiato a un idrante, si è accorto degli armeggi di un fotografo intento a riprendere l’inizio della via Garibaldi con a destra la Porta Messina per la classica “cartolina ricordo”, e assume una posa la più ricercata possibile con un sorriso malandrino. I bei palazzi si susseguono uno dopo l’altro: il Palazzo Senatorio opera del 1803 di Giacomo Minutoli e il Palazzo della Camera di Commercio in bellissimo stile neoclassico, disegno degli architetti Giacomo Fiore e Giuseppe Munagò, entrambi affacciati sulla grande piazza del Municipio; il Palazzo del Prefetto, già Palazzo del Priorato dei Cavalieri di Malta, architettura di Leone Savoja del 1877 e accanto, la monumentale chiesa di San Giovanni di Malta della prima metà del Seicento, progetto degli architetti Francesco e Curzio Zaccarella, padre e figlio, mentre alla tribuna lavorò Jacopo del Duca nella seconda metà del Cinquecento.

E ancora, il ristorante Duilio, il Caffè nuovo, il Caffè Gambrinus accanto al neoclassico Teatro Vittorio Emanuele II del celebre architetto napoletano Pietro Valente (1852), dove si dà convegno la migliore società mentre al “Centofanti” i “viveurs” applaudono, spellandosi le mani, graziose ballerine scandalosamente discinte che ogni sera si esibiscono in una torbida atmosfera satura di fumo e profumo.
Estate di fine Ottocento…

Nino Principato