Il richiamo di Messina nella letteratura e canzone francese tra Settecento e Duemila

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a cura di Roberto Cavallaro

Messina è stata una città che ha suscitato l’interesse di scrittori italiani e stranieri. Penso ad esempio alla novella del Decameron Lisabetta da Messina di Giovanni Boccaccio, Molto rumore per nulla di William Shakespeare, la tragedia La sposa di Messina di Friedrich Schiller, i libri di viaggio di Andersen, Goethe, Dumas padre fino ad arrivare alle poesie di Giovanni Pascoli e Nietzsche.

In questi tempi di emergenza sanitaria causata dal Coronavirus mi ha molto colpito leggere di Messina ne Le confessioni del filosofo Jean-Jacques Rousseau in un punto dell’autobiografia in cui l’autore narra di un periodo di quarantena che dovette affrontare a Genova nel 1743. Questo riferimento mi ha indotto a riprendere i Calligrammi di Guillaume Apollinaire in cui il poeta francese menziona la città dello Stretto nell’ode All’Italia scritta nei giorni più difficili della Grande Guerra; e quando qualche settimana fa, ascoltando musica su Spotify, ho scoperto che il cantautore francese contemporaneo Damien Saez ha composto una canzone dal titolo Messine, presente nel triplo album Messina (Les échoués, Sur les quais, Messine), ho cercato di capire se ci fosse un tema conduttore tra il filosofo factotum del Settecento, il poeta guerriero del Novecento e il cantautore impegnato di oggi.

In effetti un collegamento c’è seppur non evidente. Negli autori sopracitati Messina viene richiamata in un momento di difficoltà personale dettato dal contesto storico in Rousseau e Apollinaire e dal proprio vissuto in Saez.

Dopo aver trattato nella prima parte la propria giovinezza burrascosa tra Ginevra, Torino e Chambéry Rousseau si sofferma nella seconda parte sugli anni in cui si affermerà come filosofo, scrittore e musicista. Molto importante si rivelerà l’anno 1743 nell’elaborazione del suo pensiero politico.

In cerca di lavoro a Parigi il filosofo ginevrino si vedrà offrire da monsieur de Montaigu, fratello dell’addetto al Delfino (il figlio del re di Francia futuro erede al trono), un incarico politico di estrema importanza. Montaigu era stato appena nominato ambasciatore francese della Repubblica di Venezia e, cercando un segretario di legazione diplomatica, vide in Rousseau l’uomo adatto a lui. Rimasero d’accordo che il ginevrino avrebbe raggiunto l’ambasciatore in un secondo momento, ma un incidente imprevisto fece prolungare la durata del viaggio. Giunto a Tolone Rousseau venne a sapere della peste di Messina e che in tutti i porti si prendevano le dovute misure per impedire la diffusione dell’epidemia. Dopo che la flotta inglese “visitò la feluca sulla quale”[1] si trovava, l’autore fu soggetto a una quarantena di ventuno giorni una volta attraccato al porto di Genova. Qui decise di trascorrere il periodo di isolamento al lazzaretto piuttosto che sulla feluca a causa del “caldo insopportabile, la mancanza di spazio, l’impossibilità di camminarvi, gli insetti”[2] presenti a bordo. Fu così condotto in un edificio a due piani in cui non c’era nulla: “né finestra né letto né tavola né sedia, neppure uno sgabello […]  né un fascio di paglia”[3]. L’isolamento però non lo gettò nello sconforto. Una volta ricevuti gli affetti personali (mantello, sacco da notte e due bauli) ed essersi tolto i pidocchi l’autore mise a frutto l’ingegno per crearsi un luogo idoneo alle sue esigenze. Utilizzò così gli abiti per farsi il materasso, gli asciugamani come lenzuola, la veste da camera come coperta e il mantello a mo’ di cuscino. Con le risme di carta creò una sorta di scrivania e dispose i libri che si era portato appresso come se ci si trovasse in una biblioteca. In pratica Rousseau creò lo spazio a sua immagine e somiglianza in modo tale da poter leggere e scrivere senza problemi, interrompendo per i pasti – consumati sul pianerottolo – o per passeggiare nel cimitero protestante o osservare il porto della città della lanterna dal lucernario.

Grazie all’intercessione dell’ambasciatore francese di Genova Jonville Rousseau vedrà la quarantena ridotta a quattordici giorni e dopo aver trascorso il periodo restante a casa dell’ambasciatore e frequentato, grazie al segretario collega Dupont, le case delle famiglie più alla moda riprese il viaggio e arrivò a Venezia dove era “impazientemente atteso dal signor ambasciatore”[4].

Guillaume Apollinaire invece nella poesia All’Italia, contenuta in Calligrami, esprime il suo attaccamento all’Italia, che definisce madre e al contempo figlia, e tra le città menzionate appare Messina per il suo significato mitologico e storico.

Se la poesia in questione a primo acchito non ha l’impatto visivo dei poemi pittorici presenti nella raccolta come Cuore corona specchio, in realtà ha insita in sé una forza musicale e simbolica molto intensa che se letta con attenzione – badando alle differenze di margini, alle frasi scritte in corsivo o a stampatello e alla giusta intonazione da dare alla lettura a causa della voluta assenza di punteggiatura – si crea una raffigurazione potente della fratellanza tra Francia e Italia nella lotta contro il male pandemico rappresentato dalla Germania e dall’Austria-Ungheria contro cui i due popoli stanno combattendo fino allo sfinimento.

Nato a Roma da un ufficiale italiano di origini svizzere che non lo riconoscerà e da una donna polacca che lo crescerà in Francia, Apollinaire tra tutte le città italiane che potrebbe citare sceglie Messina e Venezia, l’una per i suoi miti e la sua storia recente mentre l’altra per la sua storia gloriosa, sorpassando quella forza visiva che in Rousseau era data dal sentimento di sé che scaturisce dal ricordo, mentre nel poeta del Novecento è data dalla forza immaginativa che assorbe dentro di sé le ultime innovazioni tecnologiche come la radio, il fonografo e il cinema.

In tal modo Apollinaire ci descrive la vita sradicata del soldato al fronte che affronta un nemico che vorrebbe costringerci a non farci scegliere più e dal suo fortino mentre vede i caccia ronzare come api, le bombe esplodere come rose e le notti assumere l’aspetto di ghirlande di luce o globi luminosi dai colori insospettabili che ricordano l’effetto ottico orb, il poeta pensa all’Italia e in particolare a Messina, rendendo omaggio alle sirene e alle scille morte nel terremoto del 1908.

Nel verso originale Apollinaire scrive:

 

C’est la nuit je suis dans mon blockhaus éclairé par

    l’électricité en bâton

Je pense à toi pays des 2 volcans

Je salue le souvenir des sirènes et des scylles mortes

 au moment de Messine

Je salue le Colleoni équestre de Venise

Je salue la chemise rouge

Je t’envoie mes amitiés Italie et m’apprête à applaudir

 aux hauts faits de ta bleusaille[5]

 

Qui in basso la traduzione della strofa da me effettuata:                             

È notte sono nel mio fortino illuminato dalle

    torce elettriche

Penso a te paese dei due vulcani

Rendo omaggio al ricordo delle sirene e delle scille morte

           il giorno del terremoto di Messina

Saluto il Colleoni a cavallo di Venezia

Do il benvenuto alle camicie rosse

Ti do la mia amicizia Italia e mi accingo ad applaudire

     le grandi gesta dei tuoi cadetti

 

Nei versi restanti della strofa sopracitata Apollinaire menziona la statua equestre del condottiero mercenario Bartolomeo Colleoni realizzata da Andrea Verrocchio a Venezia per omaggiare la grandezza della Serenissima e, prima di dichiarare la propria amicizia al Bel Paese, esprime il proprio apprezzamento per Garibaldi e i suoi Mille che si sono battuti per l’Unità d’Italia.

Non sarà tuttavia il campo di battaglia a porre fine alla vita del poeta soldato. Non sarà la ferita grave alla testa riportata nel 1916 a ucciderlo, ma la febbre spagnola: l’epidemia spesso citata in questi mesi di emergenza sanitaria. Il 9 novembre 1918 Apollinaire morirà nella sua casa di Parigi a pochi giorni dalla firma dell’armistizio di Compiègne (11 novembre 1918) che porrà fine alla prima guerra mondiale e sancirà una pace umiliante per la Germania che provocherà il crollo dell’impero e la nascita della fragile repubblica di Weimar.

Diverso è invece il rapporto di Damien Saez con Messina.

Nella canzone Messine del 2012 il cantautore francese narra di una storia d’amore finita e rimpiange, anche se all’inizio del testo mente dichiarando il contrario, di non aver potuto portare la sua ex compagna a Messina, Venezia – che anche in questo caso per coincidenza voluta o meno viene menzionata sempre dopo la città dello Stretto –, La Rochelle e Roubaix. Il problema è che lei non è voluta neanche venire a raggiungerlo a Roubaix dove non c’è il mare ma avrebbero potuto far finta che ci fosse. Allora non fa niente per questi viaggi incompiuti, perché senza la sua ex non avrebbero avuto senso. A questo punto però il desiderio di lei raggiunge il culmine e la mancanza e la distanza gli suscitano una passione folle e viscerale che ricorda quelle che provarono Rousseau per Sophie d’Houdetot e ancor prima per madame de Warens e Apollinaire per Louise de Coligny-Châtillon detta Lou e in seguito per Madeleine Pagès. Per amarsi non c’è bisogno di andare a Messina o da qualche altra parte. Basta incontrarsi a casa di uno dei due e in quel momento lei diventerà la sua Venezia, la sua chiesa e il suo Louvre. Sì, perché non c’è bisogno di andare in un museo a vedere dipinti che sembrano nature morte quando lei è molto meglio dei corpi dipinti da Michelangelo. L’amore corrisposto rende tutto possibile, perfino la presenza del mare in una città industriale come Roubaix con i suoi pavé e il suo canale.

In tutti questi tre autori trattati si è visto come Messina assume un significato diverso.

In Rousseau è semplicemente un fatto storico che determina un periodo di quarantena che gli ha dato modo di dedicarsi alle sue riflessioni e di portare avanti le sue passioni quali la lettura e la scrittura. In Apollinaire la città dello Stretto assume un significato storico simbolico che gli permette di comprendere la tragedia di una guerra vissuta come inevitabile e di mostrare la propria sincera amicizia all’intero popolo italiano. In Saez invece il richiamo a Messina assume i contorni di un miraggio simile a quello della fata Morgana che a volte si vede apparire sullo Stretto. La città sembra a portata di mano e con essa la possibilità dell’amore, ma è soltanto un’illusione e non resta che affidarci all’immaginazione per fantasticare su quello che la coppia avrebbe potuto essere e non è stato.

Tre autori francesi di secoli differenti ci mostrano il loro rapporto con Messina in una condizione di isolamento, di guerra o di abbandono mostrandoci un volto della città che non avevamo considerato e che ci aiuta a porci in una nuova prospettiva per comprendere meglio il nostro territorio.

In appendice è possibile leggere le mie traduzioni della poesia di Apollinaire e della canzone di Saez.


Appendice

 

All’Italia di Guillaume Apollinaire

Traduzione a cura di Roberto Cavallaro

 

A Ardengo Soffici

 

L’amore ha scosso la mia vita come si scuote la terra

    nelle zone di belligeranza

Ho raggiunto la maturità quando giunse la guerra

E in questo giorno di agosto 1915 il più afoso dell’anno

A riparo nell’ipogeo fortificato che io stesso ho contribuito a scavare

È a te che penso Italia madre dei miei pensieri

 

E già allora quando Von Kluck avanzava su Parigi prima dell’offensiva della

  Marna

Evocavo il sacco di Roma dei Tedeschi

Il sacco di Roma di cui ne hanno fatto menzione

Bonaparte il vicario spagnolo Delicado e l’Aretino

Mi dicevo

È possibile che la nazione

Madre di ogni civiltà

Assista indifesa agli atti che si perpetrano ai

    suoi danni

 

Poi sono giunti i tempi in cui le tombe si sono schiuse

I fantasmi degli Schiavi si sono scagliati

Continuando a fremere gridando ASSALTO AI TEDESCHI

Noi l’esercito invisibile dalle grida accecanti

Più dolci del miele e più semplici di uno stralcio

   di terra

 

Noi ti diamo benevolmente le spalle Italia

Ma non avercela con noi ti vogliamo bene veramente

Italia madre ma anche nostra figlia

 

Noi siamo qui tranquillamente e senza tristezza

E se malgrado le maschere i sacchi di iuta i tronchi

    noi dovessimo morire

Sappiamo che un altro prenderebbe il nostro posto

E che gli eserciti non moriranno mai

 

Non sono lunghi i mesi né tantomeno i giorni e le notti

È la guerra che è lunga

 

Italia

Tu nostra madre e nostra figlia qualcosa che assomiglia a una

    sorella

Anch’io come te per confortarmi

Mi scolo un quarto di vino

Che fa tanta differenza tra noi e i Crucchi

Anch’io come te partecipo al volo dei 75 aeroplani

simili a stormi di pernici

Come te sono esente da questo orgoglio tetro dei Crucchi

   e so divertirmi

Non sono eccessivamente sentimentale come lo sono queste

      persone incontrollabili le cui azioni superano ogni limite senza

      che siano in grado di divertirsi

La nostra civiltà è più raffinata rispetto alle cose che loro

   utilizzano

Va al di là della vita comoda

E dell’aspetto dei manufatti artistici e industriali

I fiori sono i nostri figli non i loro

Lo stesso giglio che muore al Vaticano

La pianura è infinita e le trincee sono bianche

Gli aerei ronzano come api

Sulle rose momentanee delle esplosioni

E le notti assomigliano a ghirlande di luci abbaglianti

A orb dai colori insospettati

 

Noi sappiamo godere perfino delle nostre sofferenze

La nostra indole è affascinante la passione arriva quando occorre

Siamo maliziosi poiché sappiamo fare la nostra parte

E non c’è più pazzia in colui che lancia le granate

  che in quello che pela le patate

Tu ami un po’ più di noi i gesti e le parole

   squillanti

Hai a tua disposizione le magie etrusche il senso

     della maestà eroica e il coraggioso onore

     individuale

Noi d’altro canto abbiamo il sorriso indoviniamo quello che non

   ci viene detto sappiamo cavarcela e perfino

   i più pavidi saprebbero all’occorrenza dare dimostrazione

   di spirito di sacrificio che volgarmente chiamiamo coraggio

E fumiamo di brutto con voluttà

 

È notte sono nel mio fortino illuminato dalle

    torce elettriche

Penso a te paese dei due vulcani

Rendo omaggio al ricordo delle sirene e delle scille morte

          il giorno del terremoto di Messina

Saluto il Colleoni a cavallo di Venezia

Do il benvenuto alle camicie rosse

Ti do la mia amicizia Italia e mi accingo ad applaudire

    le grandi gesta dei tuoi cadetti

Non perché immagino che non ci sarà mai più

     felicità o sfortuna in questo mondo

Ma perché come te mi piace riflettere in solitudine e penso che

     i Crucchi me lo impedirebbero

Ma perché il gusto naturale delle perfezione che

     ci contraddistingue l’un l’altro se ci lasciassero fare

     sarebbe presto sostituito da non so quali

     comodità di cui non so che farmene

E soprattutto perché come te so che voglio scegliere

   e che loro invece vorrebbero costringerci a non farci scegliere più

Uno stesso destino ci unisce in questa circostanza

 

Non è per il popolo nel suo complesso che lo dico

Ma per ciascuno dei tuoi Italia

 

Non limitarti a conquistare le terre irridenti

Metti il tuo destino nel nostro piatto della bilancia

 

I riflettori lanciano i loro bagliori come occhi

  di lumaca

E le granate che cadono sono dei cani che lanciano

   della terra con le zampe dopo aver fatto i

    bisogni

 

Il nostro esercito invisibile è una bella notte stellata

E ognuno dei nostri uomini è un astro meraviglioso

 

               O notte o notte splendente

      I morti sono con i nostri soldati

      I morti sono in piedi nelle trincee

Dove scivolano nel sottosuolo verso le schiere nemiche a noi così care

O Lille Saint-Quentin Loan Mauberge Vouziers

Noi lanciamo le nostre città come granate

I nostri fiumi sono branditi come sciabole

Le nostre montagne caricano come reggimenti di cavalleria

 

Riprendiamo le città i fiumi e le colline

Dalle frontiere svizzere alle frontiere olandesi

               Tra te e noi Italia

           Ci sono dei villaggi pieni di donne

            E vicino a te mi aspetta quella che amo

                   O Fratelli d’Italia

 

        Onde nuvole tossiche

Rottami metallici che voi arrugginite ovunque

O fratelli d’Italia con le vostre penne nel capello

                           Italia

Senti i gemiti di Louvain osserva Reims torcere le braccia

E questo soldato ferito sempre in piedi a Arras

 

E adesso volgiamo un canto per chi è morto

                Per chi è vivo

      Gli ufficiali i soldati

I fucili Rosalie i cannoni i razzi le eliche le vanghe

   i cavalli

     Cantiamo per gli anelli dai colori tenui per gli elmetti

     Cantiamo per coloro che sono morti

     Cantiamo per la terra che sbadiglia di noia

     Cantiamo e ridiamo

     Per gli anni avvenire

                    Italia

Senti il raglio dell’asino crucco

Facciamo la guerra a colpi di fruste

Fatte con i raggi del sole

                  Italia

Cantiamo e ridiamo

Per gli anni avvenire

 

 

Messina di Damien Saez

Traduzione a cura di Roberto Cavallaro

 

Mi sarebbe piaciuto amarti

Portarti a Messina

Seguirti a La Rochelle

Farti vedere la mia Roubaix

Sì, ma non sono riuscito a

Prendere il traghetto

Io, un istante prima avevo creduto

Di vedere il mare a Roubaix

Allora fa niente per Messina

In ogni caso con te

Allora fa niente per Venezia

Tanto peggio per te

Che mi sei sfuggita di mano

Io sono senza rimpianto

I pavé di Roubaix

A te non sarebbero piaciuti.

 

Mi sarebbe piaciuto averti

Come si prenderebbe il largo

Come si farebbe un viaggio

Solo per il piacere di farlo

Conoscere l’ignoto

Dirsi che è possibile

Che a ogni angolo

Si può toccare il cielo

Che sì, si può fuggire

Fino alla fine del mondo

Che a ogni secondo

Si può trovare l’amore

Che quando c’è niente è impossibile

Che quando c’è si può fare tutto

Dai sorrisi ai nostri singhiozzi

E a Roubaix il mare

 

Vieni ci regaleremo Venezia

Sì dai a casa tua o a casa mia

Vieni ci regaleremo Venezia

Io sarò italiano e tu sarai tu

Non abbiamo bisogno di Parigi

Di Messina o di qualche altro posto

I pavé di Roubaix lo sai

Sono più che sufficienti per amarsi

Poiché Venezia sì dai sei tu

E Roubaix sì dai sono io

Siamo la Bella e la Bestia

Sai come si dice: siamo il rosso

E il nero che risplendono in cielo

Amore prendi il mio amore

E sì dai lasciamo ai turisti

La morte dei musei

Poiché ebbene sì

Meglio di Michelangelo

Sono le tue natiche

In cui mi confesso

Perché sei tu Venezia

Perché sei tu la mia chiesa

Perché sei tu il mio Louvre

  

 Mi sarebbe piaciuto averti

Come si prenderebbe il largo

Come si farebbe un viaggio

Solo per il piacere di farlo

Conoscere l’ignoto

Dirsi che è possibile

Che a ogni angolo

Si può toccare il cielo

Che sì, si può fuggire

Fino alla fine del mondo

Che a ogni secondo

Si può trovare l’amore

Che quando c’è niente è impossibile

Che quando c’è si può fare tutto

Dai sorrisi ai tuoi singhiozzi

E a Roubaix il mare

 

[1] Jean-Jacques Rousseau, Le confessioni, trad. it. di Valentina Valente, Mondadori, Milano, 1990, p. 363.

[2] Ivi, p. 364.

[3] Ibidem.

[4] Ivi. p. 365.

[5] Guillaume Apollinaire, Á l’Italie, in Calligrammes, Gallimard, Parigi, 2007.