La chiesa più antica di Messina

Contattaci
Chi siamo
Richiedila Ora

Di questo piccolo tempio, nella sua “Guida per la città di Messina” del 1841, così scriveva Giuseppe Grosso Cacopardo: “[…] Imboccando nella strada della Pace, s’incontrava la graziosissima chiesa di S. Tommaso, di squisita architettura forse del Montorsoli, i cui ruderi ancor si vedono entro il giardino de’ Padri Teatini[…]”.

Questa breve descrizione è l’unica di epoca anteriore al sisma del 1908 relativa alla chiesa di S. Tommaso “il Vecchio” che sorge in via Romagnosi. Bisogna, infatti, arrivare al 1915 per poter avere il primo studio monografico, anche se breve, scritto da Gaetano La Corte Cailler che la ipotizza edificata nel sec. XVI, “[…]accanto il palazzo del barone della Motta e vicino le case di Ant. Cesare Aquilone ed il palazzo dei La Rocca, disegno del Montorsoli”. Formava, allora, angolo con le antiche vie “dei Cartari” e “degli Spatari” (le attuali S. Cristoforo e Romagnosi), così denominate perché lungo di esse si affacciavano parecchie botteghe di fabbricanti di carta e di spade.

Il La Corte commette l’errore di considerarla eretta nel Cinquecento, in ciò tratto in inganno dall’anno 1530 che si vede graffito a conclusione di un’iscrizione dedicatoria nel cornicione di coronamento della facciata principale, anno che si riferisce, invece, ai cospicui rifacimenti effettuati in occasione della dedicazione a S. Tommaso Apostolo. A testimonianza di questo evento venne incisa sulla larga cornice in pietra della facciata la seguente iscrizione in due righe, oggi mutila nelle parti iniziale e finale: “D. Thomae A.P./ (T)ibi Dive Sacravimus aedem da pro terrenis aeternae Palat(ea)/Reddere Magna Potestalia Rex imdus te Duce stru(xit)/MDXXX”.

Nel 1585, essendo stato trasferito il Conservatorio delle Vergini Riparate nel palazzo del barone Vincenzo Villani della Motta, la chiesa venne dedicata alla Madonna riparatrice delle Vergini e nel 1607 fu acquistata, insieme al Conservatorio, dai frati Teatini venuti a Messina in quell’anno, grazie anche ai forti contributi economici della Contessa Giovanna La Rocca Cibo e dell’arcivescovo Simone Carafa. Edificata, poi, dirimpetto ad essa, nel 1663, la chiesa dell’Annunziata dei Teatini su progetto dell’architetto modenese Guarino Guarini, la chiesa rimase compresa nel vasto giardino del convento con accanto gli avanzi del Conservatorio, oggi scomparsi. In seguito alla soppressione delle corporazioni religiose, avvenuta con la legge del 7 luglio 1866, il Convento dell’Annunziata venne ceduto al Comune per uso scolastico ed il giardino venduto a privati insieme alla chiesetta. Questa fu, quindi, adibita a forno ed in tale stato rimase fino al terremoto del 1908.

Tipologicamente e stilisticamente, la chiesetta di S. Tommaso “il Vecchio” si può ricondurre a due precise e diversificate epoche architettoniche: quella normanna e quella rinascimentale. Se l’apparato murario esterno tradisce, infatti, la sua origine medievale, l’interno dimostra inequivocabilmente l’adattamento della struttura perimetrale, teso al raggiungimento di una perfezione compositiva e spaziale tipicamente cinquecentesca. La chiesetta costituirebbe, quindi, un’importante e significativa testimonianza architettonica di epoca normanna, sorta fra il 1061 e il 1101 sotto il Gran Conte Ruggero quale momento di una ripresa e rilegittimazione dell’Ordine monastico basiliano. 

L’esterno è caratterizzato dal nitido involucro murario parallelepipedo dal quale emergono l’abside ed il tamburo con la cupola, ridotti ad elementi spaziali dalle semplici ed essenziali linee geometriche. Compositivamente, la chiesa si presenta come composta da due parti: una corrispondente al santuario a pianta quadrata, centrica, con unica abside orientata ad est e coperta da cupola leggermente depressa, impostata su tamburo circolare bucato da quattro finestre e coronato da una leggera cornice perimetrale in mattoni che sottolinea il passaggio alla cupola, e, un vano rettangolare che costituisce l’unica navata, coperto da volta a botte lapidea. L’interno, con le decorazioni a cornice in pietra con profilature scure su fondo chiaro degli archi, dei piedritti e del coronamento del tamburo, richiama suggestioni brunelleschiane che evidenziano l’intelaiatura prospettica ed i rapporti proporzionali dell’insieme.


Nino Principato