La Badiazza

Contattaci
Chi siamo
Richiedila Ora

 

L’Opera e il tempo possono essere passati, ma lo spirito nel quale le opere sono state concepite continua a vivere” (Meister Eckhart, “Trattati e sermoni”, sec. XIV).

È opinione comune che la fondazione della chiesa risalga al tempo di Guglielmo II il Buono (1168), ma lo storico gesuita Placido Samperi, cui dobbiamo le più particolareggiate notizie, esprime parere che la fondazione possa essere ancora più antica, ciò che concorda con una vetusta tradizione secondo la quale il monastero sarebbe stato tenuto, in un primo tempo, dalle monache Basiliane, poi Cistercensi e quindi Benedettine. Questa tradizione troverebbe conferma da posteriori documenti, i quali ne fanno risalire il ricordo al 1088, o, ancor più fondatamente, al 1103.

Nel 1167 la denominazione della chiesa, da S. Maria della Valle, venne cambiata in S. Maria della Scala a causa di un evento miracoloso legato a un’immagine sacra che raffigurava la Madonna con una scala in mano, immagine trasportata a Messina da una nave che, messa su un carro tirato da buoi senza guida, venne trasportata lungo il letto dell’attuale torrente Giostra fino al monastero di S. Maria della Valle (la splendida icona è oggi conservata nella Chiesa Santissima Annunziata dei Catalani). A causa della “peste nera” del 1347, chiesa e monastero furono abbandonati dalle monache che si trasferirono in città e il complesso cadde lentamente nel degrado, fino ad assumere il nome in senso negativo, per questo motivo, di Badiazza. Ai danni dell’abbandono s’aggiungono le rovine provocate dalle intemperie: gravi quelle prodotte dalle alluvioni della prima metà del secolo scorso, particolarmente quella del 1840 e quella del 1855 che causò l’interramento interno ed esterno della chiesa e dal terremoto del 1851, che provocò la caduta di alcuni archi. Le absidi della chiesa sono rigidamente rivolte ad est, cioè ad oriente e quindi “orientate”. Nelle chiese antiche, infatti, l’orientamento è segnato dal percorso che viene seguito per giungere all’abside il cui catino rappresenta il cielo e, cioè, l’oriente, che non è soltanto il punto dove sorge il sole ma per i cristiani è il luogo dov’è nato Gesù, situato in direzione est che è proprio la direzione dell’asse longitudinale della chiesa (come il Duomo, la chiesa degli Alemanni, quella dei Catalani, di San Francesco d’Assisi, di San Tommaso il Vecchio nella nostra città). È Cristo-luce che si manifesta nella parte più importante del tempio, l’abside che accoglie l’altare. La Badiazza, architettura di pietra, attraverso l’opera del Maestro e di oscuri artigiani che rendevano sacra la materia, parlava all’uomo medievale un linguaggio di simboli che dice poco o nulla all’uomo contemporaneo. Tanto più profondo e tanto più forte nell’epoca in cui fu edificata, quando ogni cosa aveva una sua precisa collocazione nel particolare e nel tutto. Forma essenziale della pianta di Santa Maria della Valle è la croce, l’incontro, cioè, tra la verticale e l’orizzontale, fra il tempo e lo spazio, fra il cielo e la terra. Il braccio orizzontale della croce corrisponde agli equinozi e ai solstizi, quello verticale, invece, mette i poli in rapporto con il piano dell’equatore: architettura del mondo, quindi. Le teste barbute si trovano nei due capitelli del santuario e sono in numero di tre (di grande valenza simbolica per i suoi significati esoterici e religiosi).

Nella simbologia medievale la testa, insieme al cuore, era considerata la parte più importante del corpo, poiché sede della forza vitale, dell’anima e del suo potere. Denotante saggezza, controllo, dominio, per il Cristianesimo è Cristo, la “Testa della Chiesa”. Queste teste, nella Badiazza, alludono alla Trinità perché da esse, a gruppi di tre, passa un piano che parte esattamente da ognuna delle facce del sottostante pilastro a pianta ottagonale. Guardate capovolte, le teste diventano fiori con stelo, foglie e corolla. Elemento fondamentale e caratterizzante nella chiesa di Santa Maria della Valle è l’arco a sesto acuto o ogivale. Assolve a funzioni statiche ma anche simbologie esoteriche e cristiane sottendono l’uso generalizzato dell’arco ad ogiva. Il numero 5, che è il “Numero dell’Uomo” nato dalla stella a cinque punte, è il numero sacro che dà origine al pentalfa, al pentacolo (l’iconografia cristiana utilizza la stella a cinque punte anche quale riferimento alle cinque ferite di Cristo crocifisso). Simboleggia anche l’uomo che si raddrizza, si mette in piedi sotto l’ogiva, e, più alta è essa, più egli tende verso l’alto. Il pentacolo costruito all’interno dell’ogiva, unendo i centri di curvatura dei due archi contrapposti, quello del cerchio armonico di base e le intersezioni di quest’ultimo con lo sviluppo dell’ogiva, contiene all’interno la figura dell’uomo. La stella a cinque punte così ottenuta ha il vertice rivolto verso l’alto, simbolo di ascensione spirituale, opposta al pentacolo rivolto in basso, simbolo terreno e in cui si può inscrivere il volto del Caprone-Satana come nella Cattedrale di Amiens.

La simbologia, in questo caso, allude per allegoria all’elemento negativo, al male di cui bisogna sempre considerare la presenza, per essere vigili ed in ogni momento pronti a combatterlo. L’arco, a sua volta, imposta sulle colonne il cui fusto simboleggia gli apostoli-sacerdoti che celebrano il rito religioso. Traccia inoltre, nello spazio, il triangolo mistero della Trinità ottenuto unendo i suoi tre punti fondamentali: il vertice e le imposte. Il numero 3, in senso cristiano rappresenta la Trinità; i 3 doni dei Magi a Cristo come Dio (oro), Re (incenso), Agnello Sacrificale (mirra) ma anche, nella tradizione alchemica, incenso (profumo magico delle operazioni solari), oro (lo “zolfo dei saggi”), mirra (profumo della luna), e, cioè, le tre energie alchemiche che agiscono sulla materia, il ternario zolfo, argento vivo e sale (lo spirito, l’anima e il corpo); le 3 croci sul monte Calvario; le 3 Marie; le 3 virtù teologali (Fede, Speranza, Carità); le 3 tentazioni di Cristo; le 3 rinnegazioni di Pietro; le 3 apparizioni di Cristo dopo la morte. Tre, perciò, sono le navate e le absidi di Santa Maria della Valle. Al 3 delle absidi è associato direttamente, perché contiguo, il 12 delle colonne cruciformi delle navate e dei pilastri ottagonali del Santuario. Numero al tempo stesso biblico e pagano perché 12 sono le costellazioni del sistema zodiacale, i patriarchi, le tribù d’Israele, gli dei dell’Olimpo e gli apostoli di Cristo. In due capitelli della Badiazza, quelli prossimi all’abside centrale, l’oscuro “maczuni” ha scolpito quattro simboli diversi nelle quattro facce: a nord, nel suo orientamento, la stella cometa ad otto punte, è la NASCITA DI CRISTO; ad ovest, un fiore gemmato, è la VITA DI CRISTO; a sud, una croce patente, è la MORTE DI CRISTO; ad est, nel suo orientamento naturale, un sole nascente stilizzato, è la RESURREZIONE DI CRISTO. Nella pianta della chiesa di Santa Maria della Valle è inscritta una perfetta croce latina. Essa è evidenziata dalle costolonature delle volte a crociera, realizzate in corrispondenza delle campate che, nel loro insieme, danno forma alla croce. Nel “cuore” di questa croce, esattamente all’incrocio degli assi dei due bracci, verticale ed orizzontale, sta la chiave di lettura di tutto l’edificio progettato e costruito secondo le regole della “proporzione divina”, cioè, il numero phi 1,618, risultato del “rapporto aureo”. Questo numero, sorprendentemente presente nella natura vegetale e animale, fu dagli antichi associato alla creazione divina, considerato come il primo mattone dell’immensa costruzione dell’Universo.

Non possono essere, infatti, considerate semplici coincidenze i tantissimi casi nei quali è presente il numero phi, ad esempio: nella Grande Piramide di Cheope (2480 a. C.); nel Partenone (447-432 a. C); nel rapporto di crescita dei semi di girasole fra spirale e spirale; nella maniera in cui le foglie si dispongono sui rami; nel rapporto fra la larghezza della sezione di una spirale e la successiva, in una chiocciola; nei vortici degli uragani; nelle spirali galattiche; nel rapporto fra il numero complessivo delle femmine e quello dei maschi di ape in un alveare; nel rapporto fra l’altezza totale e quella dai piedi all’ombelico di uomini e donne; fra la misura dalla spalla all’estremità delle dita e quella fra gomito e punta delle dita; fra distanza tra fianco e piedi e ginocchio e piedi. Il risultato è sempre quello della “proporzione divina”, il numero phi 1,618. Nella Badiazza il rapporto fra le due lunghezze, metri 20,30:12,55, dà come risultato il numero phi 1,618, la “proporzione divina”. È un linguaggio, tutto questo (e chissà quanti altri significati sfuggono al nostro raziocinio di uomini e donne di oggi spogliati dei simboli), che parlava direttamente al cuore dell’uomo medievale, lo aiutava ad edificare la “sua cattedrale” che non sarebbe mai potuta crollare come quella di pietra. “Gesù disse: “Colui che cerca non desista dal cercare fino a quando non avrà trovato; quando avrà trovato si stupirà. Quando si sarà stupito, si turberà e dominerà su tutto”… ”Il Regno è invece dentro di voi e fuori di voi”…”Allorché di due farete uno, allorché farete la parte interna come l’esterna, la parte esterna come l’interna e la parte superiore come l’inferiore…allora entrerete nel Regno”.

(mi raccomando, votate tutti per la Badiazza come “Luogo del cuore FAI seguendo il link: FONDO AMBIENTE FAI)

Nino Principato