Storia del coflitto anglo-irlandese

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In attesa del Bloomsday, l’evento più importante della libreria Dedalus, la recensione di questa settimana sarà sul saggio “Storia del conflitto anglo-irlandese. Otto secoli di persecuzione inglese” del giornalista fiorentino e studioso dell’Irlanda Riccardo Michelucci ed edito da Odoya.

Il conflitto secolare tra Irlanda e Regno Unito è presente lungo le pagine dell’Ulisse di Joyce. Nella giornata del 16 giugno 1904 i dublinesi si trovano ad assistere alla parata del viceré, ma nei vari luoghi della città sono in molti a ricordare leader come Theobald Wolfe Tone, Daniel O’Connell e Charles Stuart Parnell o fatti storici significativi come l’assassinio di Robert Emmet del 1803 ad opera dell’esercito inglese. Il saggio di Michelucci analizza il rapporto conflittuale tra i due popoli dall’invasione di Enrico II Plantageneto fino alla fine della lotta armata dell’Ira nel 2005 grazie all’intermediazione dell’ex leader del Sinn Féin Gerry Adams, che nel febbraio di quest’anno l’autore ha intervistato per il Venerdì di Repubblica.

Molta rilevanza viene data alla politica di assimilazione protestante inglese durante il regno di Elisabetta I come anche alla guerra di Cromwell, che nel 1649 attuò la pacificazione dell’isola soffocando qualsiasi speranza di un’emancipazione cattolica e nel 1653, con l’Act of Settlement, avviò l’espropriazione delle terre dei proprietari ribelli a favore dei coloni protestanti. Fu così che nel giro di due secoli si realizzò quel forte legame tra religione cattolica e cultura gaelica, che sarà a fondamento dei movimenti e partiti politici irlandesi dell’Ottocento e del Novecento. È infatti con l’Atto di annessione del 1800 che l’Irlanda verrà annessa al Regno Unito con conseguente declino della propria identità, a partire dalla lingua gaelica che fu sostituita dall’inglese. Prima di quella data l’Irlanda era stata un dominio inglese e poi, a partire da Enrico VIII, un Regno di cui i sovrani inglesi ne detenevano le redini dotato di un Parlamento autonomo. L’atto di annessione sancì la fine di ogni diritto politico e civile per gli irlandesi i quali, grazie anche alle teorie sulla razza umana del chirurgo Robert Knox, furono considerati dalla madrepatria una razza inferiore. Queste politiche discriminatorie divennero palesi durante la Grande Carestia del 1848 causata dalla malattia della patata – tubero ampiamente diffuso e consumato in Irlanda – e dalle politiche liberiste della madrepatria volte a favorire il commercio inglese.  

Nell’Ottocento politici illuminati come Daniel O’Connell si batterono per l’Home Rule (per l’autogoverno) e per la valorizzazione della cultura e delle tradizioni irlandesi. L’eredità di questa battaglia fu accolta da Charles Stewart Parnell – che spesso ricorre nelle opere di Joyce – finché nel 1914 si giunse al tanto agognato Home Rule, che però non venne applicato a causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale e della Guerra d’Indipendenza Irlandese del 1916-1921.

Michelucci analizza nel dettaglio le diverse fasi della guerra d’indipendenza irlandese e della guerra civile - dalla Rivolta di Pasqua fino alla formazione della Repubblica d’Irlanda (1937) – per poi focalizzarsi sugli scontri tra inglesi e irlandesi che hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento – compreso il Bloody Sunday del 1972, l’eccidio inglese contro i manifestanti pacifici irlandesi a Derry che poi è stato trasformato in musica dagli U2 con Sunday Bloody Sunday – e terminare con la fine della strategia armata dell’Ira già annunciata in precedenza.

Vorrei inoltre soffermarmi sugli United Irishmen di Wolfe Tone che traspaiono nella ballata irlandese The Croppy Boy presente nell’episodio “Le Sirene” dell’Ulisse di Joyce.

Dopo aver ascoltato Simon Dedalus – il padre del giovane poeta Stephen – cantare all’Ormond Bar in un eccellente interpretazione di “M’appari” tratta dalla “Martha” di Flutow, Leopold Bloom fa cenno al sordo Pat di voler pagare il conto. Nel frattempo Ben Dollard, accompagnato al piano da padre Bob Cowley, si appresta a cantare “The Croppy Boy”. È proprio durante questa canzone che avviene il tradimento della moglie Molly con il cantante e impresario Blazes Boylan, che assume una carica simbolica data dalla passione tra la barista/sirena Miss bronzo Lydia Douce e l’avvocato George Lidwell e la canzone cantata da Bollard, che tratta dell’uccisione del giovane ribelle Robert Emmet – membro dell’United Irishmen – nel 1803. Gli United Irishmen rivendicavano l’indipendenza dal Regno Unito attraverso una politica condivisa tra cattolici e protestanti. Emmet organizzò una rivolta che, scoppiata il 23 luglio del 1803 con l’uccisione del viceré Arthur Wolfe Kilwarden, si esaurì nel giro di breve tempo concludendosi con l’impiccagione del suo autore. La canzone riprende il fatto storico narrando di un giovane ribelle irlandese che impaurito dal fallimento del suo piano contro gli inglesi si rifugia nel confessionale di una chiesa per confessare al parroco i propri timori. Il parroco poi si rivela essere in realtà un soldato inglese che alla fine ucciderà il malcapitato.

È ironico come durante l’esecuzione di questa ballata irlandese ci sia un viceré per le strade di Dublino (simbolo dell’oppressione politica) e un tradimento sentimentale ai danni di Bloom: l’irlandese ebreo di origini ungheresi che ha come portafortuna una patata e si ritrova ad essere straniero in patria, in quanto capro espiatorio per qualsiasi fatto avvenga. Questa sensazione di straniero in patria raggiungerà il culmine quando nell’episodio successivo, il dodicesimo, Bloom si ritrova ad essere il bersaglio del Cittadino, un fanatico ultranazionalista irlandese antisemita e razzista, che gli imputa di essere un ebreo massone artefice, come tutti gli stranieri, dell’occupazione inglese. Bloom alla fine non si piegherà alla violenza verbale del cittadino, vero prodotto dell’occupazione inglese, e dimostrerà all’interlocutore come in realtà per essere irlandesi non bisogna essere dei nazionalisti ottusi e violenti. Bloom è ideologicamente più vicino a Parnell e alla sua battaglia per l’Home Rule, per un Irlanda autonoma con corpi legislativo, esecutivo e giudiziari propri senza rompere con il Regno Unito e con una vocazione internazionalista e non violenta. La visione politica di Bloom risulterà nel romanzo ma anche storicamente, come già descritto, una vittoria di Pirro.

A mio modo di vedere la guerra d’indipendenza irlandese era senza dubbio necessaria e dobbiamo rendere grazie a uomini come Michael Connoly e Éamon De Valera – tutti personaggi citati da Riccardo Michelucci – ma anche a donne come Maud Gonne McBride, la musa di Yeats. In conclusione, nel saggio “Storia del conflitto anglo-irlandese. Otto secoli di persecuzione inglese” Michelucci descrive gli ottocento anni di occupazione inglese con taglio divulgativo, facendo riferimento non solo ai documenti storici in senso stretto ma anche a interviste, racconti di vita quotidiana e fonti letterarie sul solco del New Historianism. L’autore inoltre evidenzia la continuità dell’intransigenza della politica inglese e fa chiarezza sulle responsabilità delle parti coinvolte in un conflitto che, con la fine delle ostilità da parte dell’Ira, assume le forme di un processo pacifico di riunificazione con l’Ulster.

La disgressione sull’Ulisse di Joyce si è resa necessaria in quanto il 16 giugno, in occasione del Bloomsday, si terrà alle ore 18:00 alla libreria Dedalus un reading di alcuni estratti dell’episodio “Le Sirene” dell’Ulisse affiancato dalla collettiva di pittura “Le Sirene e lo Stretto”, organizzata in collaborazione con l’Asas, che durerà fino al 30 giugno.

 

Roberto Cavallaro