Esplorazioni urbane. Urban art, patrimoni culturali e beni comuni

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Esplorazioni urbane. Urban art, patrimoni culturali e beni comuni” di Pier Paolo Zampieri è un saggio di sociologia urbana che analizza la ricostruzione della città di Messina in seguito al terremoto del 28 dicembre 1908, le implicazioni e le rimozioni sociali che ne sono conseguite e le risposte che, soprattutto negli ultimi anni, la cittadinanza ha provato a fornire all’entrata in crisi del modello urbanistico di cui il territorio era imperniato.

L’autore afferma che Messina è una città “paradigmatica” per il tipo di ricostruzione del tessuto urbano che è stato attuato all’indomani del trauma tellurico. La prima catastrofe naturale del Regno d’Italia ha permesso alla città di aprirsi alle teorie moderniste portate avanti dalla nuova scienza urbanistica. Lo Stato ritenne opportuno abbattere le costruzioni danneggiate per costruire una città nuova fondata su criteri funzionali e burocratici e non più relazionali col territorio circostante, in particolare con il mare. Fu così che la città dello Stretto perse in potenza scenografica, venendo privata di edifici di importanza storica, tra cui la Palazzata, come anche delle ampie piazze, che furono contratte con la conseguente scomparsa del sagrato per la gran parte delle chiese cittadine, e al loro posto subentrarono strade di dodici metri di larghezza, palazzi di cemento di al massimo due piani e isolati geometricamente chiusi e spazialmente separati l’uno dall’altro per impedire il verificarsi delle conseguenze disastrose del terremoto di una tale portata anche in futuro.

L’architettura di Stato” posta in essere darà luogo a un “modello di «modernità istantanea» su scala ridotta” incapace di accogliere le necessità e i bisogni sociali della popolazione, portando così alla creazione di due città: la prima è quella del centro cittadino abitata dalla borghesia che riesce a ricostruire le proprie dimore usufruendo dei mutui trentennali statali; mentre le fasce più povere, impossibilitate ad accedere ai mutui statali perché non offrono garanzie, verranno spostate in periferia e costituiranno quelle fasce ultrapopolari che andranno ad abitare nelle resistenze abitative ossia, le baracche. Questo fenomeno urbanistico provocherà una distanza sociale, con conseguente diseguaglianza, tra la borghesia cittadina e le fasce più povere e culturalmente più arretrate della popolazione, note anche come zalli. Questi ultimi, soggetti come direbbe Goffman allo stigma sociale, ritengono a loro volta gli abitanti del centro una casta e rivendicano un “diritto alla città” di cui ne sono privi. Diritto alla città non riconosciuto che si manifesta ad esempio nell’impossibilità da parte delle fasce più povere di accedere all’offerta culturale del centro cittadino. La Messina post-terremoto differisce pertanto da quelle “città mediterranee” come Palermo, Napoli o Istanbul che si caratterizzano invece per “la centralità spaziale dei quartieri popolari” abitati da classi sociali differenti.

Dal desiderio della cittadinanza di rompere queste barriere tra prima e seconda città sono scaturite cinque esperienze “avanguardiste” significative che, seppur terminate, possono considerarsi delle “sconfitte luminose” per l’eredità che hanno lasciato.

Le cinque storie di vita descritte dal sociologo Pier Paolo Zampieri sono: l’artista matto Gaetano Chiarenza, che con la sua arte non solo ha dato vita alle pareti del ex manicomio Mandalari oggi Camelot ma, attraverso la sua opera, ha permesso un’apertura dell’istituto al territorio; la seconda storia di vita è invece quella del cavaliere Giovanni Cammarata che con la sua casa-museo ricolma di sculture e affreschi tra il pop, l’arte primitiva, la tradizione, il mito e il legame simbolico-spaziale con il mare e il territorio, ha posto l’accento sulle esigenze di Maregrosso e la cui eredità è stata portata avanti dagli artisti street art, che con i loro murales hanno valorizzato il quartiere sopracitato abbellendo le pareti di Via delle Belle Arti; la terza storia di vita riguarda la famiglia Gargano, che da generazioni porta avanti la tradizione dei pupi a Messina; la quarta descrive l’esperienza del teatro itinerante Pinelli, che ha posto l’accento sulla riqualificazione e valorizzazione di spazi culturali fondamentali come ad esempio il Teatro in Fiera; infine l’ultima storia di vita contenuta nel saggio è quella di Gérard Foucaux, il mimo francese che ha trasformato le piazze in un luogo in cui i bambini si possano divertire e la cui eredità ha portato all’approvazione in tempi recenti della delibera comunale sull’arte di strada.

Le metodologie di ricerca principalmente utilizzate dall’autore sono state le esplorazioni urbane e la ricerca azione. Quest’ultima permette di osservare gli effetti delle azioni poste in essere dagli attori sociali coinvolti. Un esempio sono gli interventi sullo spazio urbano scaturiti dall’esposizione delle opere di Chiarenza e Cammarata alle mostre ZonaCammarata: cose da matti e TuttoTorna a Maregrosso. Queste mostre non solo hanno permesso di porre l’attenzione sull’urban art, ma anche di sensibilizzare la cittadinanza sulla salvaguardia della casa-museo di Cammarata come patrimonio culturale cittadino e la valorizzazione del quartiere attraverso la Via delle Belle Arti.

Se qualcosa è stato fatto per eliminare la rimozione sociale di Maregrosso, molto ancora si deve fare per Giostra. La concessione della Badiazza al Camelot ha certamente aperto il quartiere alla città attraverso le mostre e i convegni che periodicamente vi vengono organizzati, ma con un maggiore intervento delle istituzioni da effettuare “dopo un attento ascolto del territorio con le sue risorse e le storie che l’hanno attraversato” si potrebbe creare un maggiore sinergia tra paesaggio, il Camelot come una sorta di museo di arte contemporanea outsider e un “(futuro) sito archeologico” quale la Chiesa di Santa Maria del Gesù Superiore dove si ipotizza che vi sia la tomba di Antonello da Messina.

In conclusione consiglio vivamente la lettura di “Esplorazioni urbane. Urban art, patrimoni culturali e beni comuni” di Pier Paolo Zampieri, perché permette di avere una maggiore conoscenza della storia passata e presente di Messina collegandola con le tendenze urbanistiche, sociali ed economiche globali di ieri e di oggi.

Roberto Cavallaro