La cripta dei cappuccini - Joseph Roth

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Nel 1938 Joseph Roth si trovava in esilio a Parigi, vittima delle leggi antisemite che colpirono gli ebrei con l’ascesa al potere di Hitler nel 1933. Dopo aver assistito al crollo dell’Impero Austro-Ungarico nelle cui fila dell’esercito aveva combattuto durante la Grande Guerra e alla crisi della civiltà ebraica dell’Europa orientale, di cui ne faceva parte essendo nato nel 1894 da una famiglia ebraica nella città galiziana di Brody (oggi Polonia), Roth si trovò così a subire l‘ennesima affronto e a dover lasciare il giornale bavarese per cui lavorava in quegli anni.

La sua vita sentimentale non fu del resto tutta rose e fiori. Il matrimonio con Friederike Reichler naufragò per la vita mondana e frenetica che lo scrittore conduceva e per le sue continue e morbose scenate di gelosia. Da quel momento in poi Roth ebbe varie storie d’amore di cui la più celebre fu quella con la scrittrice Irmgard Keun.

Il 1938 fu un anno decisivo per lo scrittore austriaco. La sua relazione con Keun ebbe fine e a Parigi pubblicò La Cripta dei Cappuccini, uno dei suoi romanzi più famosi in cui ha condensato tutte le sue esperienze di vita e la sua personale concezione dell’arte.

Il romanzo, pubblicato in Italia da Adelphi e tradotto da Laura Terreni, narra delle vicissitudini di Francesco Ferdinando Trotta, un nobile di origine slovena parente dell’eroe di Solferino di cui Roth racconta nel romanzo La marcia di Radetzky del 1932.

Francesco Ferdinando vive appieno la vita oziosa e festosa della nobiltà e dell’alta borghesia austro-ungarica, frequentando i caffè e i bistrot della Vienna della Belle Époque. Trascorre le giornate in compagnia degli amici nobili come il conte Chojnicki oppure con gli ex compagni d’arme con cui aveva prestato servizio di leva e gioca a fare il fidanzatino con Elisabeth, figlia di un ex cappellaio nobilitato a barone dall’imperatore Francesco Giuseppe.

L’incontro col cugino Joseph Branco, venditore di caldarroste e mele zuccherate di Silipoje, e con l’ebreo Manes Reisinger segnerà profondamente la vita di Trotta. Con loro andrà al fronte e, dopo essere stati ostaggi dell’esercito russo ed essere stati deportati in Siberia, assistono al crollo dell’Impero asburgico e alla fine di un’era.

Di quest’aria di cambiamento già il protagonista ne aveva avuto il sentore alla vigilia della sua partenza per il fronte. Il matrimonio non era andato come previsto e soprattutto Elisabeth non si era rivelata la moglie dolce e servizievole che si era immaginato nel periodo del fidanzamento.

Indifferente alla morte improvvisa di Jacques, il vecchio fedele domestico dei Trotta che per Francesco Ferdinando era stato come un padre, Elisabeth impedisce allo sposo di accedere alla camera nuziale dell’albergo Astoria per consumare il matrimonio e il mattino dopo scappa lasciandogli un biglietto in cui si congedava con le seguenti parole: “Addio! Vado a casa”. Un matrimonio non proprio da foto ricordo.

Quando Trotta torna dalla guerra si trova a lavorare per la moglie che crea oggetti di arte applicata di influenza africana – corrente artistica molto alla moda in quegli anni – insieme alla stilista Jolanth Stzamary di cui ne è amante. L’attività è finanziata dal suocero che crede nel talento della figlia Elisabeth e nell’inventiva della socia designer. In effetti Elisabeth dimostra di avere molto talento ed apparentemente sembra molto felice. In realtà è succube dell’amica amante e rivela tutto in una notte di fuoco in cui Trotta riesce finalmente a consumare questo matrimonio sui generis.

Tra Francesco Ferdinando ed Elisabeth sorge una ritrovata intimità che porta i due a convivere a casa della madre del marito e mettere al mondo un figlio. Nel frattempo Trotta ipoteca la casa per entrare in società con il suocero, ma i tempi sono cambiati e così gli affari non decollano e l’azienda è costretta a chiudere. A Trotta non resta che trasformare la casa in una pensione dove accogliere gli amici di una vita anch’essi, come lui, nostalgici di un passato definitivamente scomparso ed incapaci di inserirsi nella società tra le due guerre mondiali.

Il desiderio di maternità di Elisabeth è però l’ennesimo capriccio passeggero. Adesso le è venuta voglia di fare l’attrice e senza farsi troppi problemi lascia il figlio al marito e alla suocera per cercare successo a Hollywood. A sua volta Trotta non potendo contare sull’aiuto della madre, ormai paralitica, decide di affidare il bambino ad un amico di Parigi.

L’Austria è però sull’orlo del precipizio. La rivoluzione rossa a cui aveva aderito il figlio di Manes Reisinger, dopo aver abbandonato il conservatorio a cui aveva potuto accedere anche grazie all’intercessione del conte Chojnicki, è presto travolta nel sangue e il nazionalsocialismo si radica sempre di più nella società. Nei locali e per le strade si respira un’aria antisemita e lontani sono i tempi della convivenza tra etnie e nazionalità dell’Impero. Adesso il cugino Joseph Branco ha bisogno del passaporto per fare il venditore ambulante di caldarroste tra uno Stato e l’altro dell’ex impero asburgico e per l’ebreo Manes Reisinger fare il vetturino è sempre più difficile visto i tempi che corrono.

La sera in cui il nazismo prende il potere in Austria a Trotta non resta che fare come Roth: bere un ultimo bicchiere di alcool e vagare solitario per le strade notturne a perdersi nella nostalgia di un passato che non c’è più. Così vediamo il protagonista percorrere la Vienna notturna per andare a visitare la Cripta dei Cappuccini, lì dove trova sepoltura il suo imperatore.

Con una scrittura incisiva, schietta e oggettiva Joseph Roth ci descrive le due facce del mondo della società del suo tempo e in particolare il modo in cui le trasformazioni storico-sociali influenzano i comportamenti umani. Per Roth la realtà si rivela per la sua doppiezza. Nella vita ci sono due lati: uno ben evidente e l’altro nascosto che è il suo esatto contrario. In tal senso la fine dell’Impero austro-ungarico non è per l’autore solo la fine di un sistema giuridico in cui trovano convivenza differente nazionalità ed etnie, ma anche di uno stile di vita e di valori condivisi. La nuova realtà presenta un grado di incertezza in cui ad alcuni elementi positivi (indipendenza femminile, capovolgimento dei ruoli e delle classe sociali, sviluppo di politiche sociali) si affermano elementi negativi quali la volubilità dei sentimenti, la fragilità delle relazioni, la diffusione della violenza come strumento politico e l’affermazione del razzismo, dell’intolleranza e dell’antisemitismo. Elementi che ritroviamo ancora a un secolo di distanza.

A mio parere La Cripta dei Cappuccini è un romanzo capace di parlarci anche dei nostri tempi. In tal senso a me ha colpito molto la figura di Elisabeth, una donna che sembra uscita da un quadro di Franz Von Stuck e che rappresenta non soltanto la doppiezza che c’è in ognuno di noi ma anche le relazioni sociali contemporanee.

Lei ha un lato dolce e un altro crudele che emerge quando Trotta dà per scontata e stabilizzata la sua relazione sentimentale, ma che in realtà le vicissitudini della vita mettono perennemente in discussione. Questo personaggio femminile è in lotta con il desiderio di maternità e teme il matrimonio, a cui non rinuncia per consuetudine, perché teme di perdere la propria libertà. Inoltre se a Elisabeth fa onore il desiderio di indipendenza, avere un proprio lavoro e coltivare con passione gli interessi artistici; tuttavia dimostra di non avere molta sicurezza di sé non andando fino in fondo alle proprie scelte ed è molto volubile. Ciò la rende una donna egoista, inaffidabile e irresponsabile di cui Trotta se ne rende conto quando ormai è troppo tardi. Per Elisabeth è impossibile conciliare la libertà e il senso di responsabilità, l’autorealizzazione e il ruolo sociale di moglie e poi anche di madre. A tutto ciò reagisce tardando il più possibile la convivenza col marito e mettendo al mondo un figlio che sente come un fardello e pertanto decide di abbandonarlo.

Elisabeth emerge come figura della contemporaneità. Le relazioni umane sono fragili e transitorie a causa dell’egoismo e della volubilità e l’incapacità di concepire una vita di coppia fondata sulla libertà e sul rispetto e sull’indipendenza e il senso di responsabilità è fonte delle vari violenze di genere di cui purtroppo spesso ne sentiamo parlare nei telegiornali.

In conclusione Jospeh Roth è uno dei più grandi narratori del Novecento che merita di essere letto ancora oggi, perché riesce a parlare ai nostri cuori e descrivere i nostri tempi.  


Roberto Cavallaro