Scipione Errico, un grande messinese poeta e drammaturgo del seicento

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Al Rione Aldisio c’è la via Scipione Errico: “Carneade, chi era costui?”, avrebbe esclamato il buon Don Abbondio. E quanti sanno a Messina chi era Scipione Errico?

Vengo e mi spiego.

Nacque a Messina nel 1592 e rimasto orfano in giovane età, compì gli studi nel locale Seminario dove conseguì la laurea in Teologia che gli aprì le porte verso la carriera ecclesiastica. La sua vocazione era, però, anche la poesia e a diciannove anni pubblicò a Messina due idilli, “Endimione” e “Arianna”: era l’inizio della sua attività di poeta e letterato che gli assicurerà una vasta rinomanza nazionale. Nella sua Messina pubblica nel 1619 una raccolta di Rime comprendente sonetti, madrigali, odi, egloghe, idilli, capitoli, un epitalamio, il poemetto “La via lattea” e il panegirico “Il ritratto di bella donna”.

Si legge in Dizionario Biografico degli Italiani “Treccani” a cura di Rosario Contarino: “L'Errico, che fa sovente ricorso allo pseudonimo di "Opico pastore", è palesemente influenzato dalla recente esperienza della lirica mariniana, che egli mostra di conoscere e condividere sia nella ricerca di nuovi temi poetabili, sia nell'assunzione delle moderne soluzioni stilistiche. Ed infatti tutto intriso della "retorica" marinista è il tessuto poetico di queste Rime, dove abbondano chiasmi e paronomasie, metafore e calembours; e dove soprattutto la pratica del concettismo dà vita ad inattese pointes finali. 

All'interno del tema amoroso, l'Errico gioca tutte le sue carte di paladino della modernità, ora puntando sull'effetto delle situazioni escogitate (gli arditi paragoni con il bombice oppure con il mito di Ercole e Anteo, o, ancora, con la neve e il fuoco dell'Etna); ora, invece, mirando alla valorizzazione peregrina di inconsuete sorgenti di erotismo (la "pozzetta" del mento, la puntura di una zanzara), ora infine alla demistificazione di una passione dove si annida la venalità mercenaria ("de lo strale / Onde ferisce Amor, la punta è d'oro").”: non c’è che dire, un orgoglio per Messina.

Nel 1623 si pubblicò a Messina il poema “La Babilonia distrutta”, dove viene celebrata la vittoria dei Tartari cristiani sui califfi Abassidi, avvenuta nel sec. XIII. Scipione Errico, nei suoi scritti successivi, adottò singolari e nuove forme letterarie. Nella sua commedia capolavoro “Le rivolte di Parnaso” del 1626, in cinque atti e ambientata sul monte caro ad Apollo, in una sorta di una satira letteraria, vengono introdotti "uomini conosciuti e veri" sull'esempio "d'Eupolio, di Cratino, d'Aristofane"; essa si propone di "censurar gli errori delli Poeti", evitando le ambizioni di critica sociale della commedia antica, che fu tolta dalle scene "per la soverchia licenza".

Un trattato allegorico che inizia con la descrizione del Parnaso e successivamente prosegue con l'avventura di Apollo, il quale è deciso a trovare una degna sposa che lo aiuti nella reggenza del Parnaso. Seguace della corrente del marinismo, Errico operò in tutta Italia con successo: fu accolto, infatti, nell'Accademia degli Oziosi a Napoli, nell’Accademia della Fucina di Messina col nome di Occupato e nell’Accademia degli Incogniti a Venezia. Dimenticato a lungo dalla critica, la sua riscoperta si deve al lavoro di Benedetto Croce. Oltre “La Babilonia distrutta” e “Le rivolte di Parnaso”, pubblicò “Rime” (1619); “L'occhiale appannato” (1629); “Le liti di Pindo” (1634); “Poesie liriche” (1646). 

Errico fu un sostenitore del valore spettacolare e culturale del neonato melodramma, e anche un severo teologo e controversista della Curia pontificia.

Morì ormai cieco, a Messina, il 18 sett. 1670.


Nino Principato